Separazioni e Divorzi: a chi viene affidato il figlio minore? | Studio Legale Scavo Avvocato Separazioni divorzi Bari

Separazioni e Divorzi: a chi viene affidato il figlio minore? | Studio Legale Scavo Avvocato Separazioni divorzi Bari

Una delle questioni più delicate, in sede di separazione o di divorzio, risiede nell’affido del figlio minore. Trattasi di un elemento cruciale, spesso destinato a incidere sulla psiche del minore stesso, ragion per cui la legge vuole sempre più tutelare sia il diritto del minore a vivere con entrambi i genitori (c.d. diritto alla bigenitorialità), sia prestare ascolto alle singole esigenze del minore se maggiore di 12 anni (c.d. diritto all’ascolto).

In ogni caso spetta al tribunale decidere sull’affidamento dei figli se gli stessi sono  minorenni, con decreto del presidente del tribunale motivato dopo analitica istruttoria (ascoltando il minore stesso se possibile).

Per quel che concerne i figli maggiorenni, la legge determina un principio di autodereminazione, per cui questi possono liberamente scegliere il genitore con il quale abitare e/o vivere per conto proprio.

  1. L’interesse del minore prevale rispetto alle questioni afferenti i genitori.

In ogni caso, i provvedimenti relativi all’affido del minore sono basati essenzialmente sulla tutela dell’ interesse del minore, che prevale su ogni altra cosa. Vengono pertanto considerati sia elementi interni al rapporto tra i genitori, sia elementi esterni, derivanti dal contesto di vita.

La ragione è quella di evitare il più possibile al minore di vivere in condizioni di disagio, sia derivante dall’assistere a continui litigi o addirittura a scene di violenza tra i genitori, sia dal vivere in contesti economico/sociali che ne pregiudichino la corretta crescita.

La legge vuole che i giudici nel decidere tengano conto dell’esclusivo interesse morale e materiale del figlio, per consentirgli di superare, per quello che sia possibile, il trauma dello scioglimento della famiglia.

  • L’affido condiviso tra entrambi i genitori, quale regola generale a tutela della bigenitorialità.

Per tutelare al meglio l’innegabile interesse morale del figlio a intrattenere rapporti con entrambi i genitori, la regola generale è quella dell’affidamento condiviso (art. 337 ter c.c.).

Il minore viene affidato ad entrambi i genitori, che se ne devono occupare mantenendo con lui un rapporto sereno ed equilibrato, garantendone cura, educazione e istruzione, ed agevolare i rapporti con i componenti delle rispettive famiglie di origine, vale a dire nonni, zii e cugini. Il tutto, anche tramite specifici accordi afferenti i giorni in cui il minore viene collocato presso un genitore piuttosto che un altro.

Nella maggior parte dei casi, il tempo di maggior permanenza del figlio minore viene trascorso presso  la madre, presso cui viene ubicato anche il domicilio del minore (con le relative conseguenze afferenti la disciplina dell’abitazione della casa coniugale). In tal caso però si parla di collocamento, differente dall’affidamento, di cui ne parleremo nei successivi paragrafi.

In ogni caso,  i due coniugi devono continuare a occuparsi dello stesso, così come avveniva prima della separazione, contribuendo entrambi a tutte le spese afferenti cura, educazione e istruzione.

  • Affidamento esclusivo al singolo genitore solo in casi particolari.

Come abbiamo visto, la regola generale è quella dell’affido condiviso. Tuttavia, se il giudice ritiene che l’affidamento condiviso sia contrario agli interessi del minore, può decidere di affidarlo esclusivamente a uno dei genitori.

Tale eccezione alla regola generale viene attuata in casi specifici, dai quali emerge in modo inequivocabileuna possibile fonte di disagio sociale, materiale e morale del figlio, circostanza che comprometterebbe l’interesse alla tutela materiale e morale del figlio.

Ad esempio, trattasi di  casi nei quali un padre o una madre hanno compiuto, prima della separazione, atti di violenza familiare, che hanno coinvolto anche il figli; oppure quando un genitore abbia delle cattive frequentazioni o abbia commesso reati ovvero frequenti abitualmente soggetti dediti a delinqurere, circostanze che potrebbero turbare la serenità del bambino o del ragazzo e pregiudicarne una corretta crescita; oppure a casi di malattia psichica che rendono impossibile a uno dei genitori di occuparsi del figlio. Ovviamente ci possono essere molteplici ulteriori esempi in tal senso, che vanno valutati caso per caso misurandosi con la regola generale della tutela materiale e morale del minore.

In simili ipotesi il tribunale dispone l’affidamento esclusivo del minore al genitore che viene ritenuto idoneo, spiegando le ragioni della decisione (art. 337 quater c.c.).

  • Collocamento o affidamento? Qual è la differenza?

Mentre l’affidamento disciplina chi sia il responsabile per la tutela, la cura, l’ educazione e istruzione, diverso è il collocamento dei figli, che disciplina  presso quale dei due genitori dovranno abitare i figli stessi.

Se sono stati affidati esclusivamente a uno dei genitori, dovranno vivere presso lo stesso.

In caso di affido condiviso, si deve decidere presso quale dei genitori i figli dovranno abitare.

Il collocamento può essere di tre tipi:

  1. Collocamento prevalente.

Il minore ha la residenza prevalente presso uno dei genitori, che viene considerato più idoneo a garantirgli una vita domestica serena.Il genitore in questione si chiama “collocatario”, e spesso si tratta della madre, risultando questa  la soluzione adottata più di frequente dai giudici, in quanto ritenuta portatrice di maggiore stabilità al minore.

Il genitore “non collocatario”, ha il diritto di incontrare il figlio e di trascorrere del tempo con lui.

I giudici stabiliranno i tempi e le modalità di incontro. Quanto alle statuizioni relative a tempi e modalità d’incontro, assume una grande rilevanza il comportamento adottato dai genitori durante il procedimento di separazione (se consensuale) o il processo (se giudiziale).

Se durante la causa i coniugi hanno evidenziano ragionevolezza, il tribunale si limiterà a incidere il meno possibile, dando mere  indicazioni di massima, lasciando ai genitori la facoltà di  regolare tra di loro i rapporti con il figlio concordandone i dettagli.

Se durante la causa i coniugi hanno evidenziato conflittualità, saranno  i giudici a stabilire con provvedimenti ad hoc e nel dettaglio i giorni e gli orari nei quali il coniuge “non collocatario” potrà incontrare i figli, la durata degli incontri, i giorni nei quali potrà tenere il minore, quanto tempo  potrà restare con lui. In tal caso il tribunale deciderà anche con chi il minore debba trascorrere le vacanze natalizie, pasquali ed estive e i fine settimana.

  • Collocamento alternato

Il minore abita in modo alternato con ognuno dei genitori.

Ad esempio un mese con il padre e un mese con la madre.

Questo sistema non è molto utilizzato, perché ritenuto fonte di disorientamento e instabilità. Viene più facilmente utilizzato qualora i luoghi di residenza dei genitori non distino molto tra di loro.

  • Collocamento invariato.

Il figlio abita stabilmente quella che era la residenza familiare, e i genitori si alternano a vivere con lui.

Ad esempio, una settimana la madre e una il padre.

Trattasi anch’essa di una soluzione di difficile attuazione, in quanto spesso incompatibile con le dinamiche lavorative e relazionali tra i coniugi, adottata solo in casi in cui sono proprio le esigenze lavorative dei genitori a renderla necessaria per evitare che il figlio sia costretto a spostarsi con loro.

  • Quali sono le ragioni su cui si basa il tribunale per decidere il collocamento?

In caso di separazione consensuale sono i coniugi a disciplinare il collocamento dei figli.

Se la separazione è giudiziale, decide il tribunale sia sull’affidamento sia sul collocamento dei figli minori.

La decisione considera e valuta diversi elementi raccolti durante la causa, quali ad esempio il comportamento dei coniugi, le ragioni che hanno portato alla separazione, l’attività svolta da ognuno di loro.

In ogni caso, però, la volontà del minore assume un ruolo rilevante: il minore ha infatti il diritto di essere ascoltato e il giudice ha il dovere di prendere in considerazione quanto affermato dallo stesso.

La legge, pertanto,  prevede che il giudice, ai fini della decisione, ascolti il figlio minore che abbia compiuto i 12 anni di età, e può ascoltare anche il bambino che abbia un’età inferiore, se lo ritiene capace di discernimento, vale a dire capace di comprendere le situazioni e gli eventi, di ragionare in modo autonomo e di formarsi una sua opinione.

Sul punto, vedremo in un successivo articolo l’importanza dell’ascolto del minore in corso di causa.

In ogni caso, è importante, quando si affronta una crisi coniugale, consultarsi con un avvocato esperto della materia per stabilire quale sia la miglior strada da percorrere nell’interesse dei figli. Il nostro team di avvocati esperti in separazioni e divorzi, operante in Bari e su tutto il territorio di Puglia e Basilicata, saprà assisterti al meglio per la tutela dei diritti tuoi e dei tuoi figli.

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